martedì 1 aprile 2014

Vergogna, J M Coetzee




Posso scrivere di scrittura e lettura senza elencare le solite robe italiane?
Sì lo sappiamo tutti: ci sono più scrittori che lettori, non si vende, si compra poco, ci si legge solo tra quelli che scrivono.
Bon.
Preciso che scrivo, che sono letto da pochi, i quali, perlopiù, apprezzano.

Per quanto concerne la scrittura, bisognerebbe probabilmente riconoscere i propri meriti, i limiti, i confini entro cui si è costretti, quelli che si riescono a squarciare e oltrepassare.
Sarebbe opportuno scrivere - ma in generale essere, agire - col maggior impegno possibile, e cercare di ottenere il meglio che si può; sia che sia tanto, sia che sia poco.

E soprattutto bisognerebbe leggere.
Ho da poco finito di leggere un romanzo che consiglio a chiunque: Vergogna, di J M Coetzee, Einaudi.
Non è facile scriverne in quanto affronta diversi argomenti, e lo fa in modo profondo, analitico, autentico.
Ci conduce nell'intimità di un uomo che insegna in un'università di Città del Capo, il quale, a causa di una relazione con una studentessa, perde il lavoro e si addentra in quella che dal punto di vista sociale, viene definita vergogna.
La pulsione sessuale, la genitorialità, le convenzioni sociali e razziali, il rapporto primordiale con la natura e gli animali, la morte, la conflittualità.

Il libro è potente, curato nella trama e nella scrittura.
Fa male, ma come tutta la buona scrittura, non può che far bene, guarire, squarciare, ricucire, costruire intimità, definire con parole esatte ciò che ogni persona percepisce, senza magari riuscire a dargli un nome.

Leggere un buon libro può essere salvifico.
Lo può essere anche in funzione del senso critico: scrivere di meno, leggere di più.



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