mercoledì 2 ottobre 2013

smettere di fumare




Questa giornata è una bella giornata e io devo pigliare quel che viene con la grazia di chi non giudica, ma accoglie e sorride.
Sembra oramai un mantra, questo. Ma perché non dovrei accettare i consigli del terapeuta? Una formula salvifica, è positività; ci metterà del tempo ma crescerà e lascerà un segno inciso nell’animo.
Quest’altro consiglio non lo so accettare e alla mattina, appena alzata, mi prendo solo un caffè,  nero e dolce, e fanculo.
Dovrei passare ai cereali e alle fette biscottate integrali con la marmellata biologica e il tè verde.
Dovrei ma non c’entra.
Quello che dovrei è una costruzione artificiale e irraggiungibile di buoni propositi e adempimenti e fioretti e rotture di palle.
E quelli che ti dicono quello che dovresti sono di solito infelici anche se lo nascondono dietro quei sorrisi e quei modi così a posto che ti verrebbe voglia di prenderli a schiaffi.

Poi subito la sigaretta, tanto per far andar via quell’oppressione ai polmoni che schiaccia col vigore d’una pressa.
La prima cicca è una delle cose belle della mia vita: tiro forte, tirate luuunghee, che occupano immediatamente tutte le distonie dei polmoni che si lamentano.

Onomatopee della prima: Sssssssss  (aspiro),  ffffffffff  (butto fuori).
E poi la pace, l’ansia che si placa e ridiscende dentro fino a diventare lontano ricordo che ogni tanto ricompare.
Non è molto elegante, ma lo dico lo stesso, tanto mica va su un giornale rosa sta specie di diario a pezzi: la sigaretta me la fumo in bagno, mentre faccio i bisogni.
E tanto per dirla tutta, ma proprio tutta, è la più grande liberazione sfinterica che si possa immaginare, e io me la godo tutta tutta, prima di ridiventare un essere con sembianze umane.
E’ il vantaggio di abitare in campagna, con le case ancora grandi che hanno almeno tre bagni. E questo è solo mio.
Mia madre e mia sorella ne hanno anche loro uno ciascuna; e così ci posso fare quello che voglio qua dentro.
Il bagno è mio e lo gestisco io.

Finalmente riconquisto la libertà dopo anni di sacrificio; mi sono tenuta dentro tutto, tutto soffocato là sotto, perfino a cagare ci andavo quando ero sicura che non c’era nessuno in casa; per paura di far rumori molesti, o puzza.
La femminilità si misura ancora oggi secondo canoni onomatopeici secolari: la donna dev'essere silenziosa, discreta, efficiente, ubbidiente. Certo, come no; mal di pancia, mal di piedi, schiena, testa: chi bella vuol apparire, in silenzio deve soffrire.
Proprio pensieri da cesso mi vengono alla mattina, altro che bella giornata.
C’è questa rabbia che esplode così senza preavviso e che mi impone pensieri che non vorrei pensare e mi fa dire, nel silenzio di questi, parole che mai vorrei udire da alcuno; specialmente da me stessa.
Ma poi passano; “è forse la tazza che evoca il piacere anale che ritorna con la sua semplicità, complicata ad arte dalla morale e dalla cultura occidentale”.
Ma che bei pensierini da convegno che mi vengono mentre me ne sto qua seduta, con sta cicca fumante tra le dita, mentre faccio tiri lunghi, potenti, che mi riempiono e quietano.

Finito! Adesso via sotto la doccia.
“Sono un corpo umido d’acqua e vapore/sono nascosta dentro a questa nebbia/mi vedi e non mi vedi/ ci sono o forse no/sono solo un sogno/ che si rivela un poco/ per suscitare domande/ per scaturire risposte”.
C’è chi canta, in doccia; io no, m’immagino d’essere una che scrive canzoni, o poesie, e a seconda di chi me la commissiona, scelgo un particolare stile.
E anche perché ho sempre freddo e questo comporre canzoni e versi mi distrae dalla temperatura che mi penetra la pelle e arriva fino alle ossa e poi ancora oltre, ad allarmare le interiora.

Terminata la doccia inizia il supplizio: devo decidere cosa mettermi addosso; ed è una logorante guerra quotidiana, una di quelle cose che, in certe giornate, mi spossano ancor prima d’uscire.
Oggi non dovrei avere riunioni quindi una qualsiasi cosa dovrebbe andar bene, a patto che sia almeno decente.
Che poi lo so che non sono gli uomini che s’accorgono come mi vesto o se tutto è intonato, ma quelle mezze vacche delle mie colleghe; le regine del brusio, le star del chiacchiericcio.
Va bene, decido per il blu, che tutti mi dicono mi sta bene e basta.
Questi jeans mi stanno proprio bene, con quello che son costati, ci mancherebbe; e poi sono di moda e coordinati con i gemelli blu scuro sono a posto.
Adoro sentire questa lana pregiata sulla pelle, passarci le mani sopra facendo finta di sistemarmi, ma in realtà soltanto per posarci le mie mani sopra e affondare sul morbido.
Un trucco leggero e una spazzolata ai capelli che speriamo resistano fino a sabato che ho appuntamento dal parrucchiere.

Prima di uscire devo dare un’occhiata all’agenda e fare il punto della situazione; l’altro giorno Gianluca e Susi m’hanno invitato al cinema con tutta la compagnia e io, come una scema, a dire sì, sì; con una faccia che si vedeva lontano un chilometro che non ho mai niente di bello da fare, solo impegni, e corsi, e palestra, e teatro, e basta.
Il teatro, un posto e un tempo per provare emozioni vere, per farmi uscire da questa monotonia, da questo appiattimento cui assisto come fossi sempre a teatro; spettatrice al di qua del proscenio della mia vita: uno spettacolo scadente, con pochi applausi di un pubblico immaginario feticista e vagamente depresso.

E insomma quella sera dovevo andare al cinema e poi, magari, a fare tutti insieme un bello strip poker: io che perdevo apposta e davanti a tutti, un pezzo alla volta, togliere con la finta calma pacchiana delle spogliarelliste, gli indumenti.
E sentire che quelli che mi guardano si eccitano, gli si gonfiano i pantaloni.
E le donnine gelose, perché sentono quest’elettricità che investe tutti.
E invece sono uscita e ho visto il film senza perdere una scena. Ho anche pianto verso la fine, e con una scusa sono dovuta andare in bagno a truccarmi di nuovo. Poi come al solito, casualmente, tutti se ne vanno e io rimango col fesso di turno che ci prova. 

-“La fortuna di essere femmina, di poter scegliere chi voglio quando ne ho voglia”
-“Ma la mia voglia ha una qualità diversa, e sorge solo se sono desiderata”
-“Non so come fate, ma quando volete, inducete il desiderio in noi maschi”
-“Sono solo parole e pensieri tipicamente maschili. La realtà è molto più complicata e difficile”
-“La realtà è la rappresentazione che noi diamo della nostra soggettiva visione delle cose”
-“Certo, hai proprio ragione. Senti, sono un po’ stanca, ti spiacerebbe riaccompagnarmi al parcheggio della pizzeria che prendo la macchina e torno a casa?”
-“veramente speravo riuscissimo a stare un po’ insieme stasera”
-“anch’io, ma non mi sento tanto bene. Scusa”

Mentre raggiungo la macchina per andare al lavoro, penso che ormai ho superato i quaranta, che i miei sogni stanno diventando materiale effimero fuori moda, che se non mi muovo non diventerò mai madre, che continuerò a vivere con mia sorella e mia madre, che il calore e l’amore di cui penso di aver bisogno, li leggerò sui romanzi.
E che magari adottando un figlio smetterò di fumare.
Nel frattempo mi accendo una cicca.

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