lunedì 30 settembre 2013

foglie di tabacco

Foglie di tabacco

Ci sono libri che si assumono, consapevolmente o meno, oneri pesanti da sostenere.
“Foglie di tabacco” di Marco Crestani, Attilio Fraccaro editore, è uno di questi. L’autore scrive: “qualcosa di reale da strappare all’oblio in Canale di Brenta”.
L’onere di cui sopra, consiste proprio nello strappare dall’oblio le storie di uomini e donne, che nell’ottocento hanno vissuto la propria vita in luoghi che il destino ha abbandonato, e appunto lasciato scomparire.
Personalmente mi infastidisce la retorica della memoria e dell’identità, quando questa è confezionata e venduta come “indispensabile per capire chi siamo”: non mi convince, mi puzza di mercantile. Non si può tuttavia non pensare ad una sorta di Spoon River del nord est, alle voci e ai pensieri di chi non ha lasciato che ricordi di cui, erroneamente, si pensa di poter fare senza.
L’autore, di formazione storica, ma anche scrittore ed editore, ha fuso in questo libro le sue due passioni: storia e letteratura.
A partire da sentenze di tribunale della zona - autentiche -, seguono racconti brevi dei protagonisti - fiction -, che descrivono, come una fotografia, o un cortometraggio in bianco e nero, momenti di quelle vite scomparse, dimenticate, quasi non fossero esistite.
Le scene si svolgono in Canal di Brenta, in ambienti e circostanze difficili, in cui contrabbandieri non per scelta criminogena, ma costretti da bisogni primari, ci fanno partecipi di condizioni estreme, a tratti quasi mortifere, eppure in piena armonia ambientale.
Mi ha colpito che molti di loro fossero definiti “illetterati”, rendendo il libro una paradossale scommessa, non solo contro la smemoratezza che la storia riserva ai piccoli uomini, ma anche contro la possibilità di articolazione e descrizione del pensiero di un “illetterato”.
E proprio in questo ambito, la scelta autoriale gioca con la compattezza che unisce gli uomini al territorio, con l’accettazione di quello che è, con l’adesione al proprio destino di periferici dell’esistenza. Sembra quasi che ai protagonisti non sia data altra scelta che essere e fare quello che gli tocca; che infrangere la legge sia la condizione che consente loro di campare; che non ci sia altro all’infuori di quello che si vede e si tocca.
In quella valle severa, stretta, umida e buia, in cui gli elementi climatici si accaniscono, la presenza e la storia degli umani si affievolisce fino quasi a sparire, le voci riemergono sommesse, senza gridare, come sussurri lievi.
Riflettevo sulla condizione evanescente del nostro passaggio terreno, che vorremmo rendere, se non immortale, almeno sensato.
Questo libro forse ci prova, assumendosi la responsabilità di riportare in vita, piccole storie di persone morte e dimenticate.
E lo fa senza forzature o piroette, ma con austera compostezza.



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