mercoledì 28 agosto 2013

piccole e grandi guerre

Oggi ho incontrato due amici.
La prima mi raccontava di episodi dolorosi, che aumentano con l’aumentare di atteggiamenti oppositivi e inutilmente stronzi, dovuti ad abitudini e gerarchie difficili da abbandonare, da parte di chi considera l’intelligenza, un’alternativa scomoda al proprio status.
Sua madre è anziana e sta molto male, forse in modo irrimediabile. E’ ricoverata in un ospedale della zona, in neurologia.
Oltre alla pena di dover assistere impotente al suo inesorabile declino, ha quotidianamente a che fare con l’atteggiamento corporativo del personale dell’ospedale; ad esempio, medici che, in sua presenza, dicono alle infermiere di comunicarle i tragici esiti della visita: lei è là, in un angolo, seduta vicino al muro, e questo imbecille nemmeno la guarda, e parla come se lei non ci fosse.
E ancora, mentre faceva la notte per vegliare sua madre, forse ancor peggiore. La vicina di letto, anziana e malata, si lamentava per le lenzuola completamente bagnate d’acqua, che le era caduta addosso mentre tentava di bere: avvisati gli infermieri, questi hanno svolto il loro compito, salvo poi intimarla a farsi gli affari suoi, che la signora è capricciosa, e si merita la sua condizione.
Lo raccontava con un tono sommesso, arrendevole: era indignata più che arrabbiata, e le sembrava di vivere un dramma personale, a cui va aggiunta una miserevole condizione generale che ci riguarda tutti.
L’ho esortata a scrivere, a non lasciar correre.
Lo facevo capendo che quello che mi sembrava giusto, e anche a lei, fosse comunque superiore alle sue forze, pentendomene un poco.

Col secondo parlavamo dei fatti nostri, delle idee che con l’avanzare della vita si solidificano, pur sapendo, per esperienza diretta, che in realtà diminuiscono, si contraggono, perdono senso.
La vita ti costringe a volte ad un realismo che non vorresti riconoscere, che ti impone di accettare ciò che è, avendo uno spettro di scelte sempre più ridotto.
Era bello un tempo, pensare che tutto era sempre, comunque, possibile.
Poi ti accorgi che per cambiare davvero in modo sostanziale, non puoi più fare a meno di certe cose; che abitudini, schemi mentali, comodità, hanno inciso in profondità il tuo modo di vivere, e il tuo mondo è diventato una sorta di rifugio dal mondo sociale, dove regnano incontrastati i vizi e le inclinazioni da cui ti senti - illuso - esonerato.
Si parlava proprio di questo, e avevamo entrambi alcune idee comuni, più che altro relative allo stato della società, ma diverse per quanto riguarda il come conviverci.
Ci si può morire di nostalgia, di rabbia, di delusione, fino a farne una forma depressiva che tutto pervade, fino a offuscare la luce, la bellezza, l’energia che non scompare mai, ma che richiede occhi e cuore che sappiano coglierla.
Insomma: il mondo e le regole sociali ci condizionano, ma siamo noi, dal momento che ne siamo consapevoli, a decidere se questo sia un destino ineluttabile a cui ci si può ribellare, o che siamo costretti a subire supinamente; oppure se si possa trovare comunque una propria dimensione in cui vivere pienamente.

Nel frattempo, mentre pensavo ai due incontri, che mi sembravano quasi descrivere piccole guerre quotidiane, quelle che la condizione umana si è inventata  da quando c’è il pensiero, arrivava la notizia dell’imminente guerra con la Siria.
In rete ho visto il video dell’uomo che tracolla per la felicità di aver ritrovato vivo suo figlio, che credeva esser morto dall’attacco col gas nervino. Un documento di una forza inaudita, in cui la fragilità, la tenerezza, prorompono, ribaltando l’immagine, così radicata in occidente, del barbuto estremista che vive solo per uccidere. Si dovrebbe stare attenti, diffidare dei video e delle immagini che girano in tivu e in rete: il rischio è che siano bufale, inattuali, addirittura frutto della propaganda, pro o contro che sia.
Eppure, quando ho visto quel padre, quell’uomo, piangere disperato di gioia, ho pensato che quel padre e quell’uomo era mio fratello di sangue.

Forse le piccole guerre quotidiane ci preparano poco alla volta, ci abituano quasi, alle grandi guerre.

mercoledì 21 agosto 2013

menomalechesilvioc'è



In questi giorni c'è crisi di governo - ma va -.
Sentendo gli schiamazzi, alcuni dei quali anche notevoli, ma rari - gli altri sono belati, grugniti, ringhi, ululati, miagolii, sibili -,  non riesco a non pensare a quanta importanza abbiamo - e io stesso, sono costretto ad ammettere- dato, al presidente.
Provo una sorta di rammarico, una specie di malinconia, a non aver saputo essere all'altezza di tali bassezze, standone al di sopra.
Mia figlia nata nel 98 cresceva e intanto guardava italia 1, e io a maledire sottovoce, o a sfogarmi urlando - a volte non riuscivo a tenermi, a contenere la desolante sensazione che mi umiliava,  proprio in quanto gli prestavo attenzione - che quel genere di demenza collettiva era ai confini della realtà - accorgendomi che stava invece diventando la realtà indotta -.
La mistica non mi era sufficiente: proteggeva e insegnava a me; a me soltanto, mentre tutto il resto diventava quel che ora è diventato: un circo, una vetrina, una lente deformata, un lifting cerebrale.
E mentre cercavo di penetrare ed esperire il significante del detto " tutto è illusione", tutto era ormai oltre l'illusione: era già allucinazione.
E di tutto ciò, questo paese, conserva negli archivi siae, un esempio significativo.
Eccolo:


C’è un grande sogno
Che vive in noi
Siamo la gente della libertà,
Presidente siamo con te
Menomale che Silvio c’è

Siamo la gente
Che am
Che vuol trasformare
Il sogno in realtà
Presidente siamo con te
Menomale che Silvio c’è

Siamo la gente
Che mai non si arrende
Che tende la mano
Che forza si dà
Presidente siamo con te
Menomale che Silvio c’è

Viva l’Italia
L’Italia che ha scelto
Di credere ancora
In questo sogno
Presidente siamo con te
Menomale che Silvio c’è
Presidente siamo con te
Menomale che Silvio c’è

Canto così
Con quella forza
Che ha solamente
Chi è puro di mente

Presidente siamo con te
Menomale che Silvio c’è
Presidente siamo con te
Menomale che Silvio c’è

Viva l’Italia
L’Italia che ha scelto
Di credere ancora in questo sogno
Presidente siamo con te
Menomale che Silvio c’è

Viva l’Italia
L’Italia che ha scelto
Di credere ancora in questo sogno
Presidente siamo con te
Menomale che Silvio c’è

Viva l’Italia
L’Italia che ha scelto
Di credere ancora in questo sogno
Presidente siamo con te
Menomale che Silvio c’è
Presidente questo è per te
Menomale che Silvio c’è


a e che crede

sabato 17 agosto 2013

resistere non serve a niente

Alle 14.45 di sabato 17 agosto ho finito “resistere non serve a niente” di Walter Siti, uno dei migliori romanzieri viventi, vincitore stupefacente del premio strega - il premio strega vinto da un romanzo bellissimo? -.

Che dire del libro?
Con la solita abilità e sapienza, scrive un romanzo in cui racconta come la finanza domini il mondo; e lo fa al solito, raccontando uomini le cui debolezze sono la ragione, o l’ossessione, che li tiene in vita, seppur in apnea nei propri abissi, mostrandoli nelle loro pieghe più segrete e scabrose.
Punto.

Mi mette sempre in condizioni di detestarlo a tratti, e al contempo di amarlo nella sua complessità. Siti svela le sue bramosie, le sue bassezze, le difficoltà che sono, nello specifico, le sue, con cui tutti dovremmo fare i conti per convivere coi nostri mostri, che spesso ci ostiniamo a negare.
Certo lui ha le sue, che sono lontanissime dalle mie: ma mi dice che se ho la pretesa di “essere” - qualunque cosa io creda di essere -, le molte deformazioni e perversioni con cui convivo, non le posso negare: sono parte di quello che io sono.

Consiglio di affrontare Siti, a partire dalla famosa trilogia iniziata con “scuola di nudo”: stavo per scrivere “ consiglio a tutti”, ma poi ho omesso “a tutti”; in realtà mi sento di consigliarlo ai lettori forti, a chi vuole scavare, attraversare gli strati di cui questi romanzi bellissimi e complessi sono formati.
Ci sono scrittori che per tecnica e cultura sono inarrivabili: Siti è tra questi.


...“
tutto si incendia nella solita, sghemba, prevedibile felicità - e vada affanculo la primavera araba”...

venerdì 9 agosto 2013

Un brano sul desiderio di essere nudi ma di non riuscirvi in quanto si è sempre detto di vergognarsene


"... E così mi confronto continuamente con realtà diverse che disegnano, parallelamente, ognuna un proprio percorso, senza mai incontrarsi.
E così affronto con sgomento ogni nuovo giorno che comprime la naturalezza, preferendo esibire l’artificio.
E così  precarietà e vertigine si mischiano generando incertezza e debolezza.
E così più sono debole, più mi difendo, e più mi difendo più aggredisco; meno sono più appaio.
Quando penso  a me stesso vorrei nascondere quegli aspetti che invece mi sono così evidenti da non poter essere negati. Mi sento in catene, in un vortice di sovrastrutture che non mi consentono il libero pensiero, il libero arbitrio.
Credo che potrei liberarmi da tutto questo se trovassi la forza e la convinzione che la mia vita, così com’è, non mi porterà da nessuna parte, che mi sto buttando al cesso per soddisfare una miserabile volontà di affermazione. Quando sento parlare di successo mi vengono dei brividi così forti da trasformarsi in spasmi; ma non posso sottrarmi in modo indolore al fascino che questo ha sempre suscitato in me.
Sono in balia delle controversie che questo confronto scatena dentro; vorrei essere nudo ma mi hanno sempre detto di vergognarmene.”

giovedì 1 agosto 2013

chiude pulp libri

Un piccolo lutto personale.
Leggo in rete che chiude “pulp libri”. Per chi come me, lo ha letto per anni, la notizia diventa un piccolo dispiacere.
Per molto tempo è stato il mio punto di riferimento: una sorta di libraio, in forma di rivista. Aveva lo stesso approccio di alcune fanzines rock: alternativo, preciso, attendibile, diverso.
Sarebbe stato fantastico, per me, piccolo e sconosciuto scrittore che pubblica per un piccolo e sconosciuto editore,  esservi recensito. Non abbiamo mai mandato una copia in redazione; l’idea era quella di spedirgliela, ma poi si rimandava, con una sorta di sollievo e di pena da parte mia. So che ne sarei stato ossessionato, intimorito, che sarei rimasto in  attesa, bimestre dopo bimestre, sperando di esserci e al tempo stesso di non esserci: gli davo così tanta fiducia, da averne una sorta di estrema confidenza, ma anche di timore referenziale.
Non mi piacciono le pagine culturali dei giornali, le combriccole di amici degli amici, le leccatine in funzione di.
Non mi rimane che il passaparola, i consigli degli amici che non hanno amici che gli ritorneranno il piacere, i pochi librai rimasti.
Pulp rimarrà un ricordo, una mancanza, una gradita presenza nella libreria dove abitualmente leggo e scrivo, uno spazio vuoto in edicola.