domenica 16 giugno 2013

la grande bellezza: piccola recensione

La grande bellezza non è solo un film: è una parentesi emotiva ed estetica.
La trama infatti è esile, sembra un pretesto per mettere insieme una serie di immagini, di situazioni paradossali, di inerzie estasi vizi noie abissi abbandoni ostentazioni desideri: un frullato, lento ma inesorabile, di gente e visioni e parole, che sembrano ripiegate su se stesse in un vorticoso niente.
“Flaubert voleva scrivere un romanzo sul niente”, dice due volte il protagonista, che qualche decennio prima aveva scritto il suo unico grande romanzo, e poi si è dedicato alla vita mondana e al mestiere di giornalista cinico e scafato, cui non gliela si può dare a bere con la fuffa e il blabla: no, lui sa, conosce, frequenta, incide sul tutto mondano, che è appunto il niente.
E il niente non si può scrivere; e anche se si potesse, non ci sarebbe chi sa leggerlo.
Eppure, mentre il film procede senza avanzare, mentre la vita di un sessantacinquenne continua senza esistere se non a livello estetico, si assiste a un miracolo, ad una poesia non pronunciata, ad una carica infinita di grande bellezza.
Ricordo le parole di un mistico che invitava non tanto ad ascoltare e capire le parole che egli stesso pronunciava, ma ad abbandonarsi al silenzio che intercorre tra una parola e l’altra.
Ed è proprio questa sensazione che ho avuto nel film di Sorrentino: una sorta di messaggio subliminale estatico, camuffato da una sublime estetica.

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