sabato 15 giugno 2013

Ho finito di leggere "Proust per bagnanti" una settimana fa circa.
Non sapevo se scriverne qualcosa o se lasciar perdere, e provo a spiegarne le ragioni: in queste ultime settimane Emanuele Pettener, l'autore, è diventato una persona con cui ho condiviso alcune ore spensierate, seduti a Venezia nei tavolini di un bar all'aperto, oppure passeggiando, e sempre parlando di libri, di gusti letterari, di visione della vita.
Se la letteratura è l'arte che meglio di altre testimonia il percorso terreno delle nostre esistenze, allora non si possono omettere la vita, le biografie, le idee, le aspettative che ognuno di noi ha, senza tradire la buonafede. Scrivo questo perché, checché ne dica lui - l’autore -, i condizionamenti esistono, e non è facile liberarsene. Ma giunto fin qui, dopo la premessa esistenziale, visto che ho deciso di scriverne, e visto che non posso che scrivere ciò che penso, scrivo quel che penso.

Proust per bagnanti è un romanzo breve, eppure esaustivo. Racconta l’intrecciarsi delle vite di tre persone, tre italiani, nel sud della Florida. L’ambientazione è l’università locale: due personaggi vi insegnano, un’altra lavora nella caffetteria del campus.
Le loro esistenze si incontrano, si raccontano, rivelano il loro passato, parlano del presente, prefigurano il futuro.
Come dicevo a Emanuele, la qualità che ho apprezzato di più della sua scrittura, è la leggerezza; quella leggerezza di cui Calvino ci parla nelle sue lezioni americane. Una leggerezza che con toni agili, riesce a raccontare i drammi del passato di due dei tre protagonisti, arrivando in profondità, al nucleo centrale della storia e dei sentimenti, senza però appesantire la parola, che rimane sempre controllata, lieve.
C’è una trama forte, un intreccio studiato, un finale a sorpresa, pur non essendo un giallo o un noir.
In alcune parti, laddove la leggiadria diventa parodia, mi è piaciuto meno, ma sono parti minori, ininfluenti, e riguardano soprattutto il mio gusto personale. In altre invece, dove la trama scende nelle zone oscure del passato, ci sono alcune pagine che ho trovato davvero efficaci, incisive, e rivelatrici dell’intelligenza dell’autore.

Ecco, fatta.
Non amo scrivere recensioni: mi piace molto parlare dei libri, questo sì; ma è un esercizio diverso, richiede più passione che tecnica, più intimità che razionalità.
Il linguaggio e il sapere critico non mi appartengono; dentro di me mi dico che ormai so riconoscere un libro buono da uno cattivo, ma è una convinzione derivante dalla lettura di molti libri, e dal vizio di scrivere, che è un faticoso privilegio.
Come dicevo all’inizio, non sapevo se scriverne o meno, ma l’ho fatto.
Un pomeriggio, seduti a Santa Margherita, persi nella bolla della chiacchiera su libri e autori, parlando dello scrivere, ci dicevamo che invece delle solite AA.VV., ci sarebbe piaciuto un libro in cui gli scrittori raccontano il processo chimico-elettrico che si impadronisce di loro trasformandoli in medium, in una sorta di canalizzatori di una storia che dev’essere raccontata, che guida le loro dita, che li costringe a sedersi, e a tirar fuori quel coacervo di parole cui devono soltanto dare un ordine, un senso compiuto; ma che non è loro, che appartiene a chi le leggerà.
E‘ quello stesso processo che ha guidato le mie dita adesso, che ho assecondato, e che mi fatto scrivere di questo libro, di questo autore, di me, della gioia della lettura.
 

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