giovedì 23 maggio 2013

gli scrittori sono donne e uomini



Non ho mai visto, frequentato, parlato e discusso con così tanti scrittori, come in questo ultimo periodo.
Credo di averlo già scritto, ma mi ripeto: non sono mai stato capace di appartenere agli ambienti, e anche con questo non ho fatto eccezioni.
In questo ultimo periodo, e mi riferisco agli ultimi mesi, ho conosciuto e condiviso un’iniziativa con gli scrittori veneziani- il riferimento è a “Venezia città di lettori”-, e contemporaneamente, grazie a questo ma non solo, ne ho incrociati altri.
Aperitivo, chiacchierata, passeggiata, neanche fossimo nella Parigi dei bei tempi; a parlar di libri, di progetti, delle nostre storie personali.
Con alcuni di loro- donne e uomini, che non cito per una sorte di pudore, rivolto a quelli che non citerei-, ho provato una sensazione simile all’amicizia, al benessere, al piacere; a quel genere di sentimento disinteressato, senza secondi fini, che ormai mi concedo con leggerezza. Una sorta di rinascimento amicale, che produce uno stare bene senza esagerare, che prefigura, con una naturale e dovuta cautela, possibili rapporti in divenire.
Non so nemmeno perché lo scrivo qui sul blog, che è pubblico, visto che si tratta di una questione privata.
Ma ho imparato ad accettare domande, cui spesso non so rispondere: così come ho imparato che gli ambienti, sono probabilmente una mia proiezione, dovuta forse ai molti battibecchi e rivalse cui sono stato testimone in questi anni.
O forse perché so che tra la parola scritta e la persona che la scrive, c’è talvolta una discrepanza lacerante.
O forse perché ho imparato ad amare le mie debolezze e le fragilità, e non solo i punti di forza; e riesco finalmente a fare altrettanto con gli altri.

domenica 19 maggio 2013

cara Marina Berlusconi

Cara Marina Berlusconi, leggendo l’invettiva contro Augias, devo ammettere che, in parte, sono d’accordo con lei: nessuno può dire ad una figlia come deve comportarsi, o se debba avere o meno stima nei confronti del proprio padre.
La sua lettera poi prosegue con gli stessi toni: arrabbiati, diretti, senza sconti.
Insomma, credo di capirla.
E tuttavia, non sono d’accordo con la sua logica.
Se da un lato è vero che un conto è la responsabilità morale e politica, e che questa non coincide gioco forza con la responsabilità giuridica, ovvero: uno può fare quello che vuole, anche avere atteggiamenti esecrabili, ma non per questo è colpevole di fronte alla legge.
Cara Marina, non vorrà mica farci credere di essere così ingenua, così sprovveduta da non sapere che suo padre mantiene con uno stipendio di molto superiore alla media degli stipendi di molti dipendenti pubblici e non, per misericordia?
O che le sue cene piene di ragazzotte svestite, accondiscendenti, pagate fior di quattrini, sono, in un momento dove molti non arrivano a fine mese, affar suo, pur se riveste una carica politica di grande responsabilità e visibilità a livello internazionale?
O che essere accusati dalla propria moglie, pubblicamente, di essere una persona malata, dopo l’accusa di aver avuto rapporti poco limpidi con una minorenne, sia atteggiamento di cui dovremmo tutti pensare che si tratta della solita persecuzione mediatica, dal momento che lei e suo padre, avete un enorme potere in questo senso?
O che davvero pensa che chi non è suo figlio, non rabbrividisca all’idea che la propria figlia potrebbe un giorno incontrare uno come Lele Mora- quello con Mussolini sul telefono, che coltivava ragazzotti muscolosi e ragazzine con le gambe lunghe-, e considerarla una fortuna, anzichenò?
O che molti si indebitano, o si sacrificano, per far studiare i propri figli, che magari andranno a fare lavori precari, e che non guadagneranno mai come le ragazze stipendiate da suo padre, e che questo sia giusto?
Insomma, Marina, lei ha ragione quando scrive quello che scrive ad Augias, rispetto al rispetto di cui ha mancato nei suoi confronti, in qualità di figlia.
Ma non riesco ad attribuirgliene altre, in funzione a quello che ho poi elencato.
Non so cosa ne scriverà la storia: spero solo che non la scriveranno i molti altri vostri stipendiati, anti moralisti e garantisti, in particolar modo col proprio datore di lavoro.
Vorrei precisare che anch’io lo sono, anti moralista e garantista, e arrivo persino a concordare che molti magistrati o giudici che fan politica, avrebbero dovuto continuare con la loro carriera; e tuttavia, non riesco a immaginare che una tale attenzione sia dovuta a odio o antipatia; tendo piuttosto a pensare che tale pervicacia sia dovuta a fatti concreti.
Concludo scrivendo un’ultima breve nota: sono uno scrittore veneziano che non pubblicherà mai con le maggiori case editrici italiane, indipendentemente dal mio valore letterario.
Per ragioni che nessuno fatica a immaginare.

Cordiali saluti,
Cristiano Prakash Dorigo

mercoledì 15 maggio 2013

73 morti (estratto live dal Morion Venezia)


Era il 21 agosto 2009.
Era il giorno prima del mio ennesimo compleanno.
In agosto, nelle settimane centrali, molti pensano a godersi gli ultimi giorni d'estate, di succhiare, sfruttare il poco che rimane.
Ebbene, quel giorno, arrivò a Lampedusa una barca con sette (7) eritrei: erano partiti in ottanta (80). Gli altri settantatre (73) erano morti.
Avevano incrociato molte imbarcazioni, avevano chiesto aiuto, erano passati vicini a Malta, ma nessuno rispondeva.
Mentre qualcuno ascoltava il tormentone dell'estate, alcuni erano in coda, bevevano bibite con la cannuccia, ascoltavano radio con le voci impostate dei dj, settantatre(73) persone, venivano lasciate morire nell'indifferenza generale.
Quel giorno ho scritto di getto questo pezzo.
Da quel giorno, il 21 agosto non è più il giorno prima del mio compleanno, no. Da quel giorno, il mio compleanno, è il giorno dopo l'anniversario di uno dei tanti esempi in cui tutti noi, abbiamo lasciato morire l'innocenza.

domenica 12 maggio 2013

Scrittura mandala


Capita di chiedersi cosa sia "scrivere".
Non capita, o comunque con meno frequenza, cosa sia leggere.
Ieri ho pranzato con alcune amiche, e una di queste che sta leggendo Proust, ha detto che leggere " la ricerca.." le sta insegnando molto di più di quanto non abbia imparato all'università - psicologia-.
Aggiungevo, ironico ma non troppo, rivolto in particolare a me stesso, ma anche ai più, che in effetti, dopo aver letto alcuni libri, si potrebbe smettere di scrivere.

A tal proposito, mi viene in mente un tipo che staziona sempre nel tratto che va dalla fermata del vaporetto di Rialto, direzione verso Cà Farsetti, appena prima del ponte: sta là tutti i giorni, seduto a terra, tutto il giorno. Ha i capelli alla mohicana, le braghe tenute strette con uno spago che gli attorciglia polpacci e caviglie, lo zaino accanto, lo sguardo perduto e lucido al tempo stesso.
La sua attività consiste nello scrivere sul masegno- le pietre che pavimentano le strade veneziane-, con un dito, un rametto, o altro non meglio identificato: se lo si osserva, si nota come questo lo impegni molto; pare assecondare i suoi pensieri in un eterno soliloquio. Scrive, cancella, riscrive: procede senza sosta, tutte le volte che passo da quelle parti. Non fa finta, anzi: è serio, impegnato, instancabile.
Conosce bene la fatica dello scrivere, la solitudine, la beatitudine, l'insoddisfazione, le trappole dell'ego, la profondità che si deve raggiungere.

Mi piace pensare che sappia che è appunto più importante leggere che scrivere, e che così come si fa coi mandala, una volta raggiunto la fine dell'opera, la si può cancellare, e ricominciarne un'altra.
Tenere presente la caducità "delle cose" della vita, la loro impermanenza.

Ecco, per concludere, mi verrebbe da scrivere che leggere, aiuta a distinguere ciò che è eterno da ciò che non lo è, e che scrivere è un esercizio umano e comprensibile, non sempre all'altezza del compito- una sorta di passaggio di consegne: io so e penso questo, e te lo racconto-, e che il principio del mandala andrebbe comunque insegnato a tutti gli scrittori.

giovedì 9 maggio 2013

porti e morti: Genova e Venezia

Vedendo quello che è successo a Genova- una nave che va a sbattere contro la torre di controllo del porto, la frantuma, ammazza diverse persone-, non si può non abbracciare idealmente, con forza e affetto, quei lavoratori che non vivono più.
Al contempo vien spontaneo rivolgere un pensiero a quanto sta accadendo a Venezia.
Da alcuni anni il traffico di grandi navi in città è cresciuto a dismisura; una crescita incontrollata, elefantiaca, paradossale: nel bacino di san Marco, lungo il canale della Giudecca, passano navi alte come palazzi di dieci-quindici piani; ben più alte delle case e dei monumenti, che sembrano assistere in silenzio a questo rito megalomane. Personalmente mi ricorda le immagini di un bisturi che taglia la carne, che crea un solco i cui lembi si slabbrano e divergono.
Da anni molti cittadini si battono perché questa barbarie finisca. Le migliaia di passeggeri che si stendono per tutta la lunghezza dei mastodonti salutano con le manine che fanno ciao, scattano foto; altri, lungo le rive, guardano sbigottiti l’assurdità dei loro gesti ignari. C’è una contrapposizione evidente, un’incomprensione reciproca di fondo: gli uni si chiedono come gli altri non condividano i loro sentimenti.
I passeggeri non sanno, ignorano, vengono da ogni parte del mondo con voli low cost per realizzare il loro sogno kitch; gli abitanti ne hanno le scatole piene; i comitati sfornano dati allucinanti sull’inquinamento, ecc.
E c’è chi, nel frattempo, come da prammatica italica, incassa. E questo è un dato centrale: il porto turistico di Venezia è un’azienda florida, produce un sacco di soldi, dà lavoro: gli sembra possibile, ai capelloni che protestano, rinunciare a tanto? Cifre alla mano, oltre agli argomenti da figli dei fiori, cosa dicono? Il porto, il cui presidente è nientepopodimenoche Costa ( ex sindaco, parlamentare europeo, magnifico rettore di Cà Foscari, un manager di prim’ordine della sinistra cittadina), ha argomenti solidi, concreti, incontestabili in tempi di crisi.
La solita retorica: salute o lavoro? lavoro o salute? Eh, come la mettiamo con tutti quelli che lavorano, che hanno un mutuo da pagare, che insomma se la cavano grazie al porto, all’unicità di Venezia? Stiamo parlando del primo porto turistico del Mediterraneo, uno dei primi d’Europa, mica balle.
Insomma, l’Italia non la smetterà mai di farsi fottere da questa logica mortifera, non l’ha mai superata, mai totalmente masticata, digerita, ragionata.
In tutti gli altri Paesi paragonabili all’Italia, si stanno portando avanti da anni programmi e soluzioni che tengono conto di entrambe le esigenze. Da anni si parla di fare un porto al largo delle bocche di porto, in cui le navi potrebbero parcheggiare; da lì potrebbero partire le imbarcazioni che porterebbero i passeggeri in città, e tutto sarebbe risolto in modo intelligente, ecologico, compatibile con le istanze di tutti.
Ma quel che è logico, in questo Paese la cui classe dirigente è formata da geni microcefali, che  abbiamo votato, e che quindi evidentemente ci somigliano, è scartato in quanto tale.
Sarebbe ora di uscire dalla contrapposizione lavoro-salute, e ricordarci che, volendolo,  pianificandolo, non sono incompatibili.
Sarebbe.
Ma non è.

sabato 4 maggio 2013

divorzio da facebook

Dopo qualche anno, ho deciso di mollare definitivamente facebook. Da qualche mese non lo frequentavo quasi più, e oggi, la fine.
Mi dedicherò solo al blog e lancerò i miei aforismi e commenti sapidi e mordaci e pugnaci e talmente ironici e  surreali da non riuscire a comprenderli fino in fondo nemmeno io, su twitter, che mi schifa abbastanza da non correre rischi di sovradosaggio.
Confesso che un po’ mi spiace: ho conosciuto persone nuove, ne ho incontrate che già conoscevo, lo usavo per diffondere le mie uscite; al contempo però, gli consentivo di distrarmi, di farmi perdere tempo, di infilarsi biecamente nelle pieghe delle mie consuetudini, in modo silenzioso, subdolo. Al pari delle abitudini dannose, nocive, gli concedevo spazio senza opporre resistenza; benché lo sapessi, gli concedevo respiro, pur detestando, ad esempio, la propensione voyeuristica di molte persone, a osservare le vite altrui da uno schermo.
Tipo:
-“sono stata in toscana”
-”lo so, ho visto le foto su fb”.
Anche twitter ha le sue pecche, ma mi coinvolgono meno: certo quando vedo gente che è onnipresente, mi chiedo se non abbiano altro di cui occuparsi: c’è gente che scrive continuamente, che fa botta e risposta, che posta il niente, il quale però, merita evidentemente una discussione interminabile.
Ma il livello, seppur più della categoria fighetti, mi pare meno peggio di fb, dove uno scrive perfino quando sbadiglia, o quando caga, o esce a comprare il cibo per il cane.
Ne discutevo ieri: i ragazzi non si sentono soli se comunicano così; da un lato ha i suoi aspetti positivi, dall’altro però falsa la percezione della realtà. Lo scrivo senza esprimere un giudizio morale, ma constatandolo. Farne ancora parte, dopo quanto appena scritto, mi renderebbe ridicolo e contraddittorio più di quanto non lo sia già in qualità di essere umano.

L’ho tolto dal tablet, dal computer, e sono davvero curioso di vedere l’effetto che fa.

ah, questo mio breve avrebbe avuto, se fosse stato postato sui social, le faccine: mettetele voi dove meglio vi pare.