giovedì 25 aprile 2013

Mestre, condominio e letteratura, liberazione dall'inutile

Da qualche tempo sono tornato a Mestre dopo sette anni di provincia a nord est.
E’ ancora presto per esprimere un giudizio sulla città che conosco più di ogni altra, ma sto raccogliendo impressioni, giusto per poi potermene distaccare con agilità. Mestre è spaventosa, ma non spaventa: ci si può far influenzare dall’estetica, dal sentire comune che è lamentoso, ma è tutto sommato una città media, abitata da una popolazione civile; è brutta, ma lo è ancor più perché costretta a confrontarsi con Venezia, la sua parte nobile.
Nel condominio dove mi sono trasferito da marzo, in una zona separata dal centro- sforzandosi di individuarne uno- da un sottopasso scavato sotto le rotaie della linea Venezia-Trieste, la zona è tranquilla, bruttina ma non troppo. Ebbene, nel condominio dicevo, ho scoperto un’insolita presenza letteraria.
Il giorno in cui ho partecipato all’iniziativa “Venezia città di lettori”, gruppo di scrittori veneziani che rifiutano il declino di una città che sta svuotandosi di vita, in funzione di una trasformazione  inarrestabile in vetrina d’arte appartenente al passato, a fronte di un presente privo della tensione e commistione di esistenze, che ne sono il presupposto- senza sostanza, l’arte è un bluff-. Quella mattina ho scoperto che una mia vicina, una signora forse inglese, e comunque non italiana, è una scrittrice. Non la conosco ancora, ma lo farò.
Nel frattempo una ragazza che abitava al terzo piano, sopra il mio appartamento, è un’attrice. Sta trasferendosi a Berlino, città dei giovani, pur non essendolo più, lei, anagraficamente parlando. Qui ha fatto per molti anni l’architetto precario, lavorando moltissimo, seppur pagata, parole sue, “meno di una donna delle pulizie”. Si occupava di teatro, alla Murata, il teatro di cui parlavo tempo fa, e conosce gente che conosco anch’io. Va in Germania per disperazione, per timore di consumare le sue energie in funzione di una sopravvivenza molto italiana, visti i tempi: lavoretti a tratti, diritti scambiati per privilegi, doveri fiscali insindacabili.
In questo periodo pare che si debba dare senza aspettarsi alcunché, o al massimo che venga concessa, bontà di qualcuno, la possibilità di un esistere asfittico, stretto. La ragazza è di madre lingua tedesca, e a parte questo, ancora nessun legame, a Berlino. Ci prova: le sembra di averne diritto, di meritarselo.
Questo l’ho saputo quando è venuta a suonarmi il campanello per ringraziarmi di averle lasciato appoggiato alla porta, il mio libro. Ho pensato che fosse un gesto che avrebbe gradito, che le rimanesse una traccia in più da portarsi dietro, quando la nostalgia amplifica i sensi, quando penserà a quello che ha lasciato, e cercherà di ricollocare il lungo filo dei ricordi.
In un libro letto l’anno scorso, Hitchens scrive che se si sente di fare qualcosa per qualcuno, quel qualcosa potrebbe avere un effetto enormemente superiore, in termini benefici, allo sforzo che è costato a chi l’ha fatto. Certo, lui in quel periodo sapeva di dover morire, e si riferiva a quello che sentiva quando qualcuno lo andava a trovare, o gli scriveva, o lo chiamava.
Sono convinto che se fossimo meno cristallizzati nelle nostre abitudini, se fossimo più disponibili, il livello di benessere emotivo, psicologico, relazionale, crescerebbe in modo esponenziale.
E forse così si scoprirebbe che chi ci sta vicino, è migliore di quello che sembra.
Stamattina, 25 Aprile, festa della liberazione, mentre uscivo con cagnona, ho assistito ad una scena che mi ha fatto una certa impressione: c’era un ragazzo bengalese che scappava con le rose in mano- a Venezia, è anche festa di San Marco, e si usa regalare una rosa, “el bocolo” alle signore- dalla polizia. Assieme ad altri quattro ragazzi, presidiavano i semafori di un incrocio trafficato, offrendo quando è rosso, la rosa agli automobilisti.
La polizia forse eseguirà il mandato di dar la caccia ai venditori ambulanti. Fa una certa impressione, nel giorno della liberazione, pensare che qualcuno pensa, che è di questi ragazzi, che ci dobbiamo liberare.
Non oso immaginare cosa accadrebbe, se ci liberassimo dall’inutile.

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