giovedì 11 aprile 2013

La lucina di Moresco


Lucina di Antonio Moresco

Ho letto Lucina, e lo confesso, ne sono ancora invaso.
A quanto pare il mondo delle lettere in Italia non riesce a non dividersi, a non frammentarsi in tante correnti di pensiero. Una di queste riguarda proprio Moresco, e concorda sul fatto che lo si ama, o lo si odia. Io sono tra coloro che lo amano, e in modo direi quasi viscerale, arrivando a pensare che addirittura lo capisco, lo conosco, so di cosa parla.
Ciononostante, il suo romanzo "gli incendiati" non mi è piaciuto. Lo specifico perché, precede quest'ultimo, nasce come questo da un'esigenza interiore, o forse esterna, cui ha obbedito- lo scrittore che asseconda la missione messianica e vi si arrende e concede?-, e ha scritto di getto questi due ultimi libri.

La lucina è ambientato nella solitudine più profonda: nell'isolamento di un paese di montagna abbandonato, si è rifugiato il protagonista, che vuole sparire alla vita. Conduce un'esistenza che rimane sullo sfondo degli eventi naturali, cui assiste con disincantato stupore. Il parallelo con la violenza degli umani, con l'assecondare la vita che ci tocca vivere, con le regole incomprensibili che ci sovrastano, con un pessimismo cosmico che non risparmia né ripara da una verità feroce, con l'indagare il micro e il macro cosmo, sono continui. Il linguaggio è semplice, asciutto. L'abisso senza fondo, senza senso, senza fine convivono con la consapevolezza che la fine sarà l'inizio della pace.
Gli argomenti di Moresco, la materia, la morte, la solitudine, la cruda verità che si osserva più che giudicarla, ci sono tutti.
Mi colpisce la gentilezza con cui ti conduce verso mondi e modi che risultano credibili pur non essendolo. Mi viene in mente solo un altro scrittore italiano vivente, che riesce a portarti in gorghi senza fine con tanta naturalezza: Giulio Mozzi.

L'altro giorno ero in autobus con mia figlia. È salito un giovane tossico, non ancora rovinato somaticamente, ma "fatto duro". Si siede vicino a noi, chiude gli occhi, si addormenta ripiegandosi su di sé fino a crollare lateralmente con lentezza, arrivando a toccare con la fronte il ginocchio destro di mia figlia. Lei si è irrigidita, in grave imbarazzo per sé, ma soprattutto per questo ragazzo, che aveva pochi anni più di lei. Ad un certo punto sono intervenuto, gli ho detto di svegliarsi, lui si è profuso gentilmente in mille scuse, e se ne è sceso di corsa alla fermata.

Stavo leggendo le ultime pagine del libro e il grigio paesaggio urbano, il rumore del bus, il brusio in sottofondo, la scena col tossico, mi hanno fatto sentire la necessità di questo e di pochi altri autori. Moresco non è quasi mai divertente, non fa ridere, non ammicca, non ha il sole in tasca né il sorriso sempre pronto: ce ne sono già tanti così. Ti costringe però a guardare, ad ascoltare.
Ti invita a sfidare gli ostacoli e a scoprire a chi appartiene quella vocina, quella lucina, che talvolta senti e vedi, e che quasi mai accogli, tappandoti le orecchie, chiudendo gli occhi, parlando d'altro.

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