venerdì 2 novembre 2012

ikea, il giorno dei santi: appunti sparsi sul marketing proiettivo gentile. parte 1

PARTE 1

Ikea, giorno dei santi.
Andare a ikea in un giorno festivo è una scelta netta: si sa già cosa si troverà, come si starà in mezzo alla folla, e si deve, come nel mio caso, girarla in positivo, pensando che si avrà un laboratorio antropologico e sociologico di tutta eccezione, e una matitina con cui prendere appunti; tutto ciò, per non soccombere al flusso di simpatia che il marketing, strepitoso e indubbiamente riuscito, ha inscenato e concretizzato in ogni centimetro quadrato di questo contenitore di voglie e ipotesi estetiche.
L'ikea del nord est è uguale a tutti gli altri, in tutto il mondo. Si caratterizza per essere promotore di novità sfiziose, inutilità ineccepibili, robetta carinissima, intelligenti soluzioni a nessun problema; il tutto, questo sì, a prezzo contenuto.
Si arriva, si parcheggia, si entra. Da subito capisci che l'ambiente è amichevole: matitina, foglietti per gli appunti- cod, prezzo, nome, misura degli articoli-, metro in carta, catalogo da restituire all'uscita. Sali al primo piano: sulla destra il self service- di cui dopo parlerò-, sulla sinistra l'inizio del giro.
Appena entrato in reparto, dove divise per eree tematiche ci sono tutti gli ambienti domestici, vieni accolto da una serie di camerette arredate di tutto punto. Si prosegue seguendo un percorso a zig zag che, in caso uno smarrisca se stesso a causa dell’affollamento di stupore che ti coglie ogniqualvolta intravedi un’idea che non ti era mai venuta ma che è davvero geniale e che dimostra in tutta evidenza quanto tu sia uno che non pensa mai che per vivere meglio qualche idea geniale ogni tanto ti farebbe bene.
Mentre il vociare, i commenti, gli sguardi degli avventori ti costringono ad una posizione angolare, ti fissi su alcuni particolari. Ad esempio: simulazione di camera con libreria. Tu guardi naturalmente la libreria notando con l’ennesima botta di sorpresa, che hanno sostituito i libri finti di un tempo, con libri veri. Matitina in mano, pensi di segnarti gli autori, giusto per il gusto di capine un pò di più degli svedesi tipo; ebbene, con tua grande stupefazione, noti che ci sono degli autori che non conosci in quanto svedesi – cosa conosci degli autori dell’europa del nord, eh? Hai il coraggio di confessare davanti a tutti che ne sai davvero poco o niente?-, trovi un libro della Fallaci tradotto, e una caterva, diciamo pure la metà dei titoli presenti, di P Roth – e dai, hai coraggio di dire davanti a tutti che tutti i libri che hai letto di P Roth ti sono piaciuti davvero tanto, o per caso te ne vergogni?-.
Prosegui, protetto dal tuo isolamento indagatore.
La maggior parte dei clienti è formata da coppie. Coppie di ogni genere: lei e lui, lui e lui, lei e lei, lei e lui e i bambini, lei e lui e i suoi di lei. Tutti, senza distinzione di fede, sesso, etnia, si dividono in chi è interessato e discute e prende appunti e ragiona ad alta voce sulle infinite possibili combinazioni, e chi non ne può più e agogna se non l’uscita, almeno la mensa.
Il giro prosegue, e vieni colto da tenerezza vedendo negli occhi di molti che c’è chi sogna una vita futura, che vive ancora uno stato di grazia pre-equitalia, che sta aspettando la sentenza della banca per sapere se gli darà il mutuo, oppure chi pensa a come fare ad arredare la sua casa in affitto. Il tasso di tenerezza è in effetti molto alto, a tal punto che, a voler approfondire lo sguardo, non si può non cogliere che ikea profetizza un futuribile benessere, disegna i contorni di un nido d’amore, ipotizza una felicità pret a porter, vagamente popolare, forse perfino populista di sinistra, nonostante il fatto che girava la voce che il proprietario avesse simpatie filo naziste. La società moderna, basata sull’indebitamento a vita, qui ha una sua speciale dolcezza, una sua concreta trascendenza, una metafisica zen del montaggio dei propri mobili leggendo attentamente le istruzioni come diceva Pirsig. Ti colpisce la solidità dello sguardo di alcune donne, che sembrano vedere quel che tu non vedrai mai, e che con gesti e parole pensano, prefigurano,  disegnano l’intera casa a partire dalle suggestioni che i designer ikea offrono a profusione.
Dopo i vari reparti, si arriva a quello che viene annunciato, da un arco posto in una struttura in plastica, che evoca un parco giochi, quello che nel nostro immaginario collettivo è “il più importante di tutti”- scritto proprio così-: la zona bebé.
La riflessione che stiamo crescendo i nostri figli come se fossero dei principini, i quali, Gautama insegna, una volta che scoprono che il mondo è paragonabile a una merda fumante e puzzolente, e non a un cartone animato dove tutto è rosa, o dove il bene vince sempre sul male, si incazzano, ci sbattono in case di riposo simili a lager, ci lasciano soli con la nostra sempiterna noiosa routine, sempre che l’alzhaimer non ci abbia prima ridotti a esseri inumani.
Il reparto pullula di bellissime future mamme, di pance tonde, di delicatezze e attenzioni, di gridolini, di capriole, di rosa e azzurro, di cantilene. Ci si può dimenticare di tutto, qui; si può per qualche minuto nuotare nel liquido amniotico delle nostre proiezioni, nei giuramenti di fedeltà, nella devozione di chi percepisce che l’amore genitoriale supera tutto, finanche la fede per la squadra del cuore. Le mamme e le nonne sono efficienti, precise, determinate; i papà manco si accorgono che i giuramenti che hanno appena pronunciato in forma di soliloquio silenzioso, sono dovuti alla bolla ipnotica di strateghi svedesi.
La fame però incombe.
Dopo i mobili intelligenti, si arriva alla mensa; pardon: al self service.  


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