martedì 27 novembre 2012
Anniversario e comprensione
Caro C, ti racconto una piccola storia, un episodio che appartiene al mio passato remoto. Lo faccio per un personale bisogno di autenticità, perché oggi ricorre l'anniversario di morte di D, e perché ho capito, credo, il ricambio generazionale in termini di ruoli e di funzioni,. Nasciamo figli, e ad alcuni di noi capita di diventare genitori.
Ti confesso, non senza imbarazzo, che mi sono accorto solo di recente di aver sempre mirato al bersaglio sbagliato, di aver focalizzato un punto ininfluente, in una vicenda, invece molto importante.
Ti invio questa pagina del mio diario di allora.
"Sono andato al funerale del mio amico D quando avevamo entrambi ventitre anni.
È stata un'esperienza difficilissima, estenuante, rovinosa. Il mio amico D è morto per overdose di eroina. L'hanno trovato una mattina, rigido, con le labbra e le unghie blu, seduto sulla sua auto, con la testa appoggiata al volante e la siringa piantata sul braccio destro, perché era mancino e usava la mano sinistra per bucarsi.
Sua madre, la signora Z, non vedendolo rientrare la sera, aveva allertato la polizia, la quale aveva risposto che avrebbe segnalato la cosa, ma che, vista l'età del ragazzo, magari aveva trovato qualcosa di meglio da fare, che non tornare a casa.
La madre non gli aveva detto che sospettava che il figlio facesse uso di droga pesante; che i soldi, ultimamente, sparivano dalla cassa del negozio, un panificio; oppure dal suo taccuino, che una volta aveva perfino fatto una brutta figura al supermercato perché era convinta di avere dei soldi, che invece non c'erano più. Non aveva avuto la prontezza di dirgli che per tutta l'estate suo figlio aveva usato la camicia con le maniche lunghe, che prendeva sonno davanti al piatto di minestra, che trovava macchie di sangue sui fazzoletti, ecc.
Io e D avevamo iniziato insieme tirando la roba con delle banconote arrotolate, come avevamo visto nei film. Il sapore che ci arrivava in gola era amaro, ma il calore che ci prendeva in tutto il corpo, il senso di pace, la facilità con cui ogni azione era la migliore delle azioni che un essere umano potesse fare, rendeva quell'amaro, un dolce preludio all'estasi.
Era un gioco all'inizio, che un pò alla volta riempiva i nostri giorni vuoti.
Era facile cedere spazio e tempo alla ricerca della roba; dopo un pò, ti faceva crescere fino a comprendere e smascherare le ipocrisie del mondo degli adulti, che erano drogati di qualcos'altro, magari legale, ma che nella sostanza non cambiava: loro bevevano, giocavano per soldi, si facevano donne e uomini all'insaputa delle famiglie, venivano a comprarsi anche loro la roba: il tutto però, con la parvenza della normalità.
Quando mi sono accorto che il gioco era diventato bisogno, e poi necessità di sopravvivenza, io ho mollato.
D invece aveva trovato una morosa, A, che pur di avere soldi e roba, gli faceva fare tutto quello che voleva, e gli insegnava quello che non sapeva. E aveva anche un amico del liceo, B, che faceva l'impiegato, e che andava con loro il fine settimana a prendere la roba; ma non lo sapeva nessun altro, se non io, D, A, e il fornitore.
Per quanto ne so, D e A, avevano intensificato l'uso, fino ad abusarne, fino a rendere il vizio e il piacere, l'unica ragione di vita; una vita che sfidava la morte con la superbia della giovinezza e la fiducia ingenua degli ignari.
Al funerale gli sguardi della madre, quelli cattivi e disperati, erano rivolti a me: ha sempre pensato che io fossi quello cattivo, e B, il suo amico impiegato, quello buono. Nella sua semplicità, e forse ancor più nella sua esperienza, credeva al dualismo bene-male: l'intera umanità apparteneva all'uno o all'altro, senza sfumature, senza sofismi. Non poteva capire che eravamo tutti e tre sia buoni che cattivi, che suo figlio si faceva e io non più, che la morosa era una che faceva di tutto per una pera, e che l'amico, il sabato diventava un fattone come tanti.
Pensarlo solo, in auto, con la testa appoggiata al volante, con le unghie e le labbra blu, mi dà la nausea, mi fa sentire solo, mi fa pensare all'abisso, alla caduta, al vuoto di questa vita. Ogni notte lo vedo in quella posizione, e non so darmi pace.
E allora ripenso a quando ci siamo conosciuti, a quando ascoltavamo i dischi, a quando pensavamo al prossimo viaggio che avremmo fatto, a quando ci salutavamo abbracciandoci forte.
E disteso a letto, mentre rivedo il blu, il volante, e mi pare di sentire il freddo della notte, mi giro le braccia attorno al petto e mi abbraccio sperando di scaldare il suo corpo ormai freddo, di ridare colorito alla sua pelle, di restituire battito al suo cuore."
Come dicevo all'inizio di questa mia, credo di aver capito e finalmente perdonato D, A, B, e anche e soprattutto sua madre Z, per quegli sguardi severi, per quelle colpe che non avevo, per quel dolore sordomuto che le aveva distrutto la vita.
Capisco che aveva bisogno di attribuire la colpa ad un colpevole, che doveva scaricare su qualcuno un dolore che le era impossibile accettare per quello che era.
Per molti anni ho sentito il rammarico e la tristezza di un'accusa infondata, e l'intima, egoistica mancanza dell'amico, e nient'altro.
Lei non mi ha mai perdonato, l'ho capito quando un giorno, per caso, fuori di un supermercato, mentre andavo a fare la spesa con mio figlio D, l'ho riconosciuta, seduta su una sedia a rotelle, spinta da una badante: mi ha rivolto un'occhiata veloce, spenta, eppure forte come una frustata.
Mio figlio l'ha notata e mi ha chiesto chi era.
Gli ho risposto che era la madre di un amico a cui avevo voluto bene, e che lei aveva amato moltissimo.
Un caro saluto, tuo B
sabato 10 novembre 2012
festival dei matti
FESTIVAL DEI MATTI 2012 – quarta edizione
Vedo dal buio
come dal più radioso dei balconi.
Il corpo è la scure: si abbatte sulla luce
scostandola in silenzio
fino al varco più nudo - al nero
di un tempo che compone
nello spazio battuto dai miei piedi
una terra lentissima
- promessa.
Antonella Anedda
Diciamo "mentale" il dolore dei matti ma, nel perimetro angusto della mente, quel dolore appare rarefatto, frantumato, solo alluso. Il suo grido non ferisce i nostri timpani.
Diciamo "mentali" lo squilibrio, lo smarrimento, l'esuberanza, le figure lievi della follia, ma anche qui è un dire difettoso, sottrattivo, fuorviante. Occorre allora smontare l'equazione che riduce la follia a fatto della mente, ricominciando a interrogare "carne ed ossa" perché non ammutolisca questa condizione umana che più di ogni altra si inscrive nel corpo e del corpo forse sa parlare.
Parleremo di corpo e di corpi, della loro ambiguità costitutiva, del loro scampare alla gabbia muta dell'oggettività, del loro ribollire di un sociale fatto di moltitudini, bisogni, conflitti, ma anche di complicità e di alleanze. Delle loro anime plurime. Del "corpo a corpo" che li abita.
È dunque questo il tema della quarta edizione del Festival dei Matti, quello del ‘corpo’ che è stato oggetto di dibattito in tutto il Novecento. Dimora intrascendibile dell’uomo, contemporaneamente interno ed esterno, dentro e fuori, il nostro corpo è la prima interfaccia con il resto del mondo, ma anche “luogo” della follia e motore artistico senza confini: una qualità che contiene le altre due, per una tre giorni di eventi diversi che intrecceranno la presenza di ospiti di pregio e mostre, laboratori, incontri e spettacoli teatrali, che invaderanno alcuni spazi della città di Venezia tentando di dipanare questo fil rouge che ha troppo spesso avuto declinazioni dicotomiche. Il ‘corpo’ sarà perciò smontato e ricucito, perché dire ‘corpo’ è nominare contenuto e contenitore assieme, perché il corpo è “la scure”, check-point aperto tra l’io e il mondo, ossia quella terra promessa che diventa sua mèta.
Il Festival durerà tre giorni, venerdì 16, sabato 17 e domenica 18 novembre, ed è realizzato con il patrocinio della Regione del Veneto, della Provincia di Venezia e dello Iuav.
È una manifestazione ideata dalla Cooperativa Con-tatto, in collaborazione con il Comune di Venezia – Assessorato alle attività culturali, di ForMatArt, Università Ca’ Foscari di Venezia, Venezia Marketing & Eventi, HelloVenezia, media-partner Sherwood.
Si inizierà venerdì 16 novembre alle 10.00 con l’inaugurazione della prima delle due mostre in programma, “La Cervia Eustachea. Atelier dell’Errore a S. Stae, a Venezia” a cura di Atelier dell'Errore ONLUS. Si tratta di un progetto site-specific che mette in relazione la leggenda di Sant'Eustachio, cui la chiesa veneziana sul Canal Grande è dedicata, con il lavoro grafico e video di Atelier dell'Errore. Atelier dell'Errore, nato dieci anni fa, è un progetto di scultura sociale ideato dall'artista visivo Luca Santiago Mora per la Neuropsichiatria Infantile dell'AUSL di Reggio Emilia. Domenica 18 novembre alle ore 14.30 si terrà presso la chiesa una lezione magistrale tenuta dai piccoli professori della Libera Università dell'Atelier dell'Errore (il corpo docente è costituito da tutti i ragazzini inviati in atelier dalla Neuropsichiatria) in cui verrà presentato il progetto per San Stae e la filmografia completa di Atelier dell'Errore. L’incontro sarà condotto da Cristiano Dorigo, autore e scrittore, con la partecipazione di Giovanni Lindo Ferretti, musicista e scrittore.
La seconda è invece “BISOGNA AVERE LA STOFFA!” aperta venerdì 16 (18-20.00) e sabato 17 (10-17.00) presso la Sala San Leonardo, con opere realizzate dalle donne della cooperativa Blu Cammello di Livorno. Il progetto di ‘riciclaggio della stoffa’ è da anni condotto da Clara Rota e Roberto Bargellini, maestri d’arte convinti che il lavoro di gruppo sia contatto di “corpo e corpi”. Durante la convivenza lavorativo-artistica, le donne della cooperativa hanno realizzato delle creature di stoffa a partire dai disegni dell’artista Riccardo Sevieri, che emanano un umorismo ludico, tragico e tenero che spiazza lo spettatore: questi manufatti sono diventati “oggetti sentimentali” marchiati “ZERO FOLLIA”.
Il laboratorio “ANTICORPI” di Clara Rota si terrà venerdì 16 presso la Fondazione di Venezia (10-16.30) ed è rivolto a chi a voglia mettersi in gioco. Anticorpi, necessari per combattere la paura. L'indifferenza è un velo che invade il nostro campo visivo, insinuandosi nel nostro quotidiano. Il laboratorio è una sorta di vaccinazione collettiva. Un laboratorio dove attivare il corpo per mettersi in con-tatto, un corpo a corpo che crea il piacere della condivisione per scoprire la forza miracolosa del gruppo. Per uscire dall'isolamento, per provare esperienze collettive artistiche e rituali, per ritrovare nuove armonie, alla ricerca di una convivenza possibile per dare spazio alla poetica di quella strana condizione umana chiamata follia.
Altro laboratorio sarà “ArtEducazione. Danza, Capoeira e Musica” a cura di Progetto Axé Italia, destinato a bambini ed adolescenti, e si terrà sabato 17 novembre presso la Fondazione di Venezia dalle ore 14.00, preceduto al mattino da un incontro rivolto a educatori, insegnanti ed operatori sociali e al quale interverrà lo stesso fondatore e attuale Presidente di Progetto Axé, l'italiano Cesare de Florio La Rocca. Progetto Axé è nato nel 1990 in Brasile per dedicarsi a bambini e ragazzi di strada attraverso l’ArtEducazione. Progetto Axé opera oggi anche in Italia guardando all’esperienza dell’arte collocata in una dimensione sociale rivolta al recupero dei giovani in difficoltà e proponendo la metodologia pedagogica sviluppata in questi 22 anni in Brasile con oltre 20.000 giovani come modello applicabile anche alla realtà del nostro Paese per il miglioramento della vita dei tanti ragazzi emarginati e a rischio.
Gli incontri del festival si articoleranno durante tutte e tre le giornate.
Il Telecom Italia Future Centre ospiterà venerdì 16 novembre alle 16.30 l’evento “Il corpo delle parole” con Alberta Basaglia, Maria Grazia Giannichedda e Peppe Dell’Acqua, e la presentazione della collana 180, Archivio critico della salute mentale e in particolare, della stessa collana, Franca Ongaro Basaglia, Salute/Malattia, Alphabeta Verlag, 2012. La collana intende rimettere in gioco ricerca, memoria, tensioni, intorno al singolare cambiamento che il nostro paese ha vissuto, negli ultimi 50 anni, nel campo della salute mentale, ripercorrendo lo spessore delle parole che hanno scritto questa storia, la contesa dei significati che le ha attraversate, le vie d’uscita che hanno impedito o reso possibili.
Sabato 17 novembre alle 11.30 invece, presso il Teatro Goldoni si terrà “in carne ed ossa“, l’incontro tra Alice Banfi e Michela Marzano con moderatrice Anna Poma. Una giovane artista ed una filosofa ci raccontano di un male di vivere che fa del corpo il suo campo di battaglia, terra di lacerazioni e di digiuni, di sfide urlate contro un mondo incapace di ascoltare, incapace di vedere. Un mondo chiuso, violento, rinsecchito, diafano, che tuttavia, da qualche parte e ad un certo punto, torna a “fare spazio” per tornare in carne ed ossa ad abitarlo. Come testimoniano i recenti romanzi e racconti autobiografici delle due autrici (M. Marzano, Volevo essere una farfalla. Come l’anoressia mi ha insegnato a vivere, Mondadori; A. Banfi, Sottovuoto, Nuovi Equilibri)
Su una linea comune per certi versi anche i doppi incontri di domenica 18 novembre. Alle 10.30 presso il Teatro Goldoni, “L’anima in corpo” con ospiti Massimo Cirri e Umberto Galimberti; il loro sarà un excursus attorno al millenario dualismo platonico anima-corpo, in cui psicologia e filosofia s’incontreranno ad indagare questa dualità, ma anche a smontarne gli assunti e rimontarne l’enigma, restituendo l’anima a quel corpo che fa dell’uomo il solo e irriducibile ‘animale sociale’. Ecco dunque che l’appuntamento del pomeriggio si coniuga con il precedente: alle 16.30 presso l’Ateneo Veneto si terrà “Corpi sociali” con ospiti il sociologo Aldo Bonomi e lo psichiatra Franco Rotelli. Percorsi tangenziali di ‘corpi-altri’, laddove lo “sfarinamento dei legami” nella società porta a rifugiarsi o a virare verso una sofferenza che finisce per configurarsi come “malattia sociale”. Bonomi è anche autore del recente Elogio della depressione (Einaudi 2011), scritto con lo psichiatra Eugenio Borgna.
I due spettacoli teatrali, unici eventi a biglietto, saranno incentrati sul motivo della mente- corpo, messa in scena e spogliata in “UNO STUDIO PER LA NAVE DEI FOLLI” di Elisa Roson e Federica Di Rosa e a cura dell’Associazione FormAttArt, in programma sabato 17 novembre al Teatro Goldoni. Una storia di terra e mare. Di una nave ancorata ai confini del mare, una fusta disonorata, sottratta alla benevolenza. Di uomini legati mani e piedi nell’isola di San Servolo nel 1901. Delle vite dei dimenticati, rinchiusi nel silenzio dei manicomi giudiziari, nell’anno 2012. Tre luoghi, lontani nel tempo, che sono però la rappresentazione di uno stesso luogo, arcaico e disumano: prigioni costruite dagli uomini savi per ingannare il proprio sguardo, per allontanare la paura. Lo spettacolo, curato dall’Associazione ForMattArt, vuole ostinatamente tenere desta la memoria del passato e mostrare il presente così com’è, con i suoi orrori, le sue aberrazioni, nella folle speranza che tutto questo presto finisca. E non accada mai più.
E così avviene anche per Kociss di Giovanni dell’Olivo, in scena al Teatro Goldoni domenica 18 novembre, uno spettacolo che mette al centro la vicenda dell’omonimo e famoso bandito veneziano, ricordato di recente anche nel film-documentario di Carlo Mazzacurati Sei Venezia (2010). Protagonista sarà dunque la voce di dell’Olivo che ‘si fa corpo’, per dare vita al personaggio del celebre Kociss in forma di teatro-canzone, con l’accompagnamento del collettivo Lagunaria.
Festival dei Matti 2012
Quarta Edizione
CORPO A CORPO
16-17-18 Novembre
a Venezia
Il programma
VENERDÌ 16 NOVEMBRE
10.00 - 17.00
CHIESA DI SAN STAE
“La cervia eustachea. Atelier dell’errore a S. Stae, a Venezia” di Luca Santiago Mora e Atelier dell'Errore. Inaugurazione della mostra
10.00-16.30
FONDAZIONE DI VENEZIA
“ANTICORPI” Laboratorio condotto da Clara Rota
16.30-18.30
TELECOM ITALIA FUTURE CENTRE
“Il corpo delle parole” con Alberta Basaglia, Maria Grazia Giannichedda e Peppe Dell’Acqua, Presentazione della collana 180, Archivio critico della salute mentale e, in particolare, della stessa collana, Franca Ongaro Basaglia, Salute / Malattia, Alphabeta Verlag, 2012
18.00-20.00
SALA SAN LEONARDO
“BISOGNA AVERE LA STOFFA” di Clara Rota e le donne della cooperativa Blu Cammello di Livorno. Inaugurazione Mostra
SABATO 17 NOVEMBRE
10.00-17.00
SALA SAN LEONARDO
“BISOGNA AVERE LA STOFFA” mostra a cura di Clara Rota e le donne della cooperativa Blu Cammello di Livorno.
11.30-13.00
TEATRO GOLDONI
“in carne ed ossa“ incontro tra Alice Banfi e Michela Marzano
21.00
TEATRO GOLDONI
Spettacolo Teatrale “UNO STUDIO PER LA NAVE DEI FOLLI” di Elisa Roson e Federica Di Rosa
DOMENICA 18 NOVEMBRE
11.00-12.30
TEATRO GOLDONI
“L’anima in corpo” incontro con Massimo Cirri e Umberto Galimberti
14.30-16.00
CHIESA DI SAN STAE
“La cervia eustachea”. Presentazione della mostra al pubblico a cura della Libera Università dell’Atelier dell’Errore, con un intervento di Giovanni Lindo Ferretti. Conduce Cristiano Dorigo.
16.30-18.00
ATENEO VENETO
“Corpi sociali” incontro con Aldo Bonomi e Franco Rotelli
18.30
TEATRO GOLDONI
Spettacolo teatrale “KOCISS” di Giovanni Dell’Olivo e il Collettivo di Lagunaria
***
I luoghi del Festival
Chiesa di San Stae – Santa Croce 1981, Campo San Stae
Sala San Leonardo – Rio Terà San Leonardo, Cannaregio 1584
Fondazione di Venezia – Dorsoduro 3488
Future Centre Telecom – Campo San Salvador, San Marco 4826
Teatro Goldoni – San Marco 4650/b – centralino: Tel. 041.2402011 – biglietteria: Tel. 041.2402014
Ateneo Veneto – Campo San Fantin, San Marco 1897
***
Info e prenotazioni
Tutti gli incontri sono ad ingresso libero.
I laboratori sono ad ingresso limitato. Info e prenotazioni al 348.2589383
Gli spettacoli teatrali sono a biglietto. Prevendita presso la biglietteria del Teatro Goldoni: lunedì – venerdì 10.00-13.00 / 15.00-18.30. I giorni 8 e 15 novembre: 10.00-13.00. Tel. 041.2402014
Studio per la nave dei folli – sabato 17 novembre ore 21.00, Teatro Goldoni
Biglietti: platea intero 18 euro, ridotto 16 euro; gallerie intero 15 euro, ridotto 13 euro; loggione unico 10 euro. Orario biglietteria sabato 17 novembre: 15.00-18.30 / 19.30-21.00.
Giovani a teatro www.giovaniateatro.it
Kociss – 18 novembre ore 18.30, Teatro Goldoni
Biglietti: 12 euro
Orario biglietteria: 18 novembre ore 15.00-18.30
I biglietti si possono acquistare anche al sito: http://www.teatrostabileveneto.it/ alla voce ‘teatri-Teatro goldoni-calendario’.
domenica 4 novembre 2012
ikea, il giorno dei santi: appunti sparsi sul marketing proiettivo gentile. parte 2
parte 2
La
fame incombe, lavora di brutto, borbottii, salivazione: la fila è la conferma
della teoria di Pavlov. L'attenzione morbosa con cui ciascuno diventa
sentinella del proprio posto in coda, rivela l'istinto di sopravvivenza in
tutta la sua aggressività. Siamo passati, in un salto quantico, dalla dolcezza
caramellosa del reparto bebè, alla pugnace conservazione della specie, in meno
di venti metri lineari.
La
fila indiana, che solo i bambini hanno il coraggio di sparigliare, segue
lentamente il suo decorso, aumentando proporzionalmente col passare del tempo,
fame e istinto animalesco. Nel frattempo, con una tecnica meditativa, osservo il
menù, giustappunto al fine di rendere l'attesa, una sorta di preliminari
amorosi, che culmineranno con l'orgasmo della masticazione e della
deglutizione. Questo prevede anche una parte dedicata ai vegetariani. (E qui
dovrei uscire dal tono supponente e aprire una parentesi seria. Mi chiedo se
avere una porzione di menù dedicata ai vegetariani sia sintomo di civiltà, di
modernità, di opportunismo commerciale. Mi rispondo che è tutto questo insieme,
che da vent'anni a questa parte, da quando cioè non mangio carne e pesce, il
livello di offerta si è decisamente alzato, e fare questa scelta, che sarebbe
seria e che meriterebbe un post a sé, non è più un'impresa pionieristica, ma,
appunto, una semplice scelta. Concludo che non ho risposte precise, ma che mi
fa piacere ci sia questa opportunità: sì, il piacere non è escluso dalle scelte
alimentari).
Alla
fine decido che, porco corpo!, oggi è la giornata che mi vaffanculo da me:
porcherie insane, in mente insana! Patatine fritte e arancino di riso, acqua,
macedonia.
Pago,
mi avvio verso un tavolo libero alla periferia estrema. Dopo un pò si siede
accanto a me una coppia omosex molto raffinata, che mangia lentamente e in
silenzio il suo pasto decisamente più urbano del mio, lanciandomi talvolta
occhiate condiscendenti.
Mangio
per la fame, ma ammettendo a me stesso che il pasto è orripilante, e che
soprattutto le patatine fritte con olio svedese, sono fredde e frigidine,
contrariamente alle mie aspettative voluttuose. Consumata la misera libagione,
confermata nella sua sostanza miserabile da una macedonia post-industriale,
dopo essermi dovuto genuflettere per depositare il vassoio sopra cui avrei
volentieri sputato se avessi sciolto il ridanciano coatto che mi abita, ma di
cui mi vergogno, almeno in pubblico, sono stato ripagato da una visione
celeste: la gabbia trasparente per i fumatori. Situata tra il reparto, le
toilettes e il self service, c'è la vetrinetta del peccato, all'interno della
quale un paio di padri di famiglia abbastanza giovani consumano il loro vizio,
essendo guardati da tutti, e guardando a loro volta la massa di consumatori
alternativi. Dei due, uno fumava nervosamente, consumando la cicca in poche
tirate, formando una brace ardente lunga quanto la lunghezza della sigaretta,
mentre l'altro, sciarpetta, occhiali da sole, si faceva su una sigaretta
lentamente, leccando la cartina come fosse lo spot di un profumo in cui si
allude a una sensualità potenziale, un pò esibita, ma al tempo stesso
misteriosa.
La
gabbia sembra una perversione concettualizzata, una ostentazione pornografica
del dualismo bene-male. Mentre ci passavo vicino, ho sentito un dialogo tra un
padre già nonno, e sua figlia incinta: "sento nettamente il desiderio di
entrarvi, fare su una canna, fumarla, vedere se qualcuno se ne accorgerebbe, e
cosa farebbe: insomma, vere
l'effetto che fa. Ma ci vuole un'età, una voglia di provocare, la materia
prima, che proprio non possiedo; e tu non mi perdoneresti mai, vero?". La
figlia-mamma guarda il padre-nonno con severità, e tace.
Nei
bagni, coda. La signora delle pulizie sta passando lo straccio sul pavimento già
lindo. Una volta entrato nei cinque metri quadri pulitissimi e profumati di
detergente alla spuma di mare del nord, sulla destra, il seggiolino dotato di
cinture di sicurezza ove appoggiare il bimbo, qualora il moderno padre del nord
(est) portasse con sé il suo pargolo, mentre si libera di incombenze
biologiche. Sensazione estatica all'interno di un cesso: sentirsi liberi dalla
psicosi da pedofilo che pregiudica la naturalezza del gesto affettivo. Esco, mi
lavo le mani, accanto a me un padre italiano consiglia al figlio di colore di
essere sempre se stesso.
Ora
tocca al piano terra.
Casalinghi, tendaggi, tappeti, quadri, candele,
mobili da bagno.
E poi il magazzino dei mobili smontati: infinite
scaffalature, alte almeno due piani, ordinate secondo codici e nomi con accenti
circonflessi dai tratti prosodici, dalla lunghezza lungimirante.
Pago la mercanzia con carta di credito, consapevole
della crescita futuribile del mio debito, ma sto al gioco moderno con
equilibrio da artista fallito.
Ultima tappa, lo shop delle delizie svedesi. Mentre
mi aggiro tra versioni psichedeliche di colesterolo in bella confezione,
scoppia una lite.
Una signora con bimbo e marito, litiga furiosamente
con un marito con figlio e moglie, in quanto quest'ultimo avrebbe pensato a
voce alta parole volgari, che la signora ha creduto le fossero rivolte contro.
Sguardi tesi, volti arrossati, imbarazzo generale, occhiate giudicanti.
La natura compressa all'interno di uno spazio chiuso,
fuoriesce come schiuma dalle bocche, dalle orecchie, dalle narici, da ogni
orifizio: il corpo si esprime così, per tumulto, se lo si ignora.
In parcheggio pare di riconquistare la libertà di
salire in auto e infilarsi nel traffico del centro commerciale.
La musica di Antony s'infila nelle pieghe più
recondite con delicatezza, accogliendo, finalmente, la sera.
venerdì 2 novembre 2012
ikea, il giorno dei santi: appunti sparsi sul marketing proiettivo gentile. parte 1
PARTE 1
Ikea, giorno dei santi.
Andare a ikea in un giorno
festivo è una scelta netta: si sa già cosa si troverà, come si starà in mezzo
alla folla, e si deve, come nel mio caso, girarla in positivo, pensando che si
avrà un laboratorio antropologico e sociologico di tutta eccezione, e una
matitina con cui prendere appunti; tutto ciò, per non soccombere al flusso di
simpatia che il marketing, strepitoso e indubbiamente riuscito, ha inscenato e
concretizzato in ogni centimetro quadrato di questo contenitore di voglie e
ipotesi estetiche.
L'ikea del nord est è uguale a
tutti gli altri, in tutto il mondo. Si caratterizza per essere promotore di
novità sfiziose, inutilità ineccepibili, robetta carinissima, intelligenti
soluzioni a nessun problema; il tutto, questo sì, a prezzo contenuto.
Si arriva, si parcheggia, si
entra. Da subito capisci che l'ambiente è amichevole: matitina, foglietti per
gli appunti- cod, prezzo, nome, misura degli articoli-, metro in carta,
catalogo da restituire all'uscita. Sali al primo piano: sulla destra il self
service- di cui dopo parlerò-, sulla sinistra l'inizio del giro.
Appena entrato in reparto, dove
divise per eree tematiche ci sono tutti gli ambienti domestici, vieni accolto
da una serie di camerette arredate di tutto punto. Si prosegue seguendo un
percorso a zig zag che, in caso uno smarrisca se stesso a causa
dell’affollamento di stupore che ti coglie ogniqualvolta intravedi un’idea che
non ti era mai venuta ma che è davvero geniale e che dimostra in tutta evidenza
quanto tu sia uno che non pensa mai che per vivere meglio qualche idea geniale
ogni tanto ti farebbe bene.
Mentre il vociare, i commenti,
gli sguardi degli avventori ti costringono ad una posizione angolare, ti fissi
su alcuni particolari. Ad esempio: simulazione di camera con libreria. Tu
guardi naturalmente la libreria notando con l’ennesima botta di sorpresa, che
hanno sostituito i libri finti di un tempo, con libri veri. Matitina in mano,
pensi di segnarti gli autori, giusto per il gusto di capine un pò di più degli
svedesi tipo; ebbene, con tua grande stupefazione, noti che ci sono degli
autori che non conosci in quanto svedesi – cosa conosci degli autori
dell’europa del nord, eh? Hai il coraggio di confessare davanti a tutti che ne
sai davvero poco o niente?-, trovi un libro della Fallaci tradotto, e una
caterva, diciamo pure la metà dei titoli presenti, di P Roth – e dai, hai
coraggio di dire davanti a tutti che tutti i libri che hai letto di P Roth ti
sono piaciuti davvero tanto, o per caso te ne vergogni?-.
Prosegui, protetto dal tuo
isolamento indagatore.
La maggior parte dei clienti è
formata da coppie. Coppie di ogni genere: lei e lui, lui e lui, lei e lei, lei
e lui e i bambini, lei e lui e i suoi di lei. Tutti, senza distinzione di fede,
sesso, etnia, si dividono in chi è interessato e discute e prende appunti e
ragiona ad alta voce sulle infinite possibili combinazioni, e chi non ne può
più e agogna se non l’uscita, almeno la mensa.
Il giro prosegue, e vieni colto
da tenerezza vedendo negli occhi di molti che c’è chi sogna una vita futura,
che vive ancora uno stato di grazia pre-equitalia, che sta aspettando la
sentenza della banca per sapere se gli darà il mutuo, oppure chi pensa a come
fare ad arredare la sua casa in affitto. Il tasso di tenerezza è in effetti
molto alto, a tal punto che, a voler approfondire lo sguardo, non si può non
cogliere che ikea profetizza un futuribile benessere, disegna i contorni di un
nido d’amore, ipotizza una felicità pret a porter, vagamente popolare, forse
perfino populista di sinistra, nonostante il fatto che girava la voce che il
proprietario avesse simpatie filo naziste. La società moderna, basata
sull’indebitamento a vita, qui ha una sua speciale dolcezza, una sua concreta
trascendenza, una metafisica zen del montaggio dei propri mobili leggendo
attentamente le istruzioni come diceva Pirsig. Ti colpisce la solidità dello
sguardo di alcune donne, che sembrano vedere quel che tu non vedrai mai, e che
con gesti e parole pensano, prefigurano,
disegnano l’intera casa a partire dalle suggestioni che i designer ikea
offrono a profusione.
Dopo i vari reparti, si arriva
a quello che viene annunciato, da un arco posto in una struttura in plastica,
che evoca un parco giochi, quello che nel nostro immaginario collettivo è “il
più importante di tutti”- scritto proprio così-: la zona bebé.
La riflessione che stiamo
crescendo i nostri figli come se fossero dei principini, i quali, Gautama
insegna, una volta che scoprono che il mondo è paragonabile a una merda fumante
e puzzolente, e non a un cartone animato dove tutto è rosa, o dove il bene
vince sempre sul male, si incazzano, ci sbattono in case di riposo simili a
lager, ci lasciano soli con la nostra sempiterna noiosa routine, sempre che
l’alzhaimer non ci abbia prima ridotti a esseri inumani.
Il reparto pullula di
bellissime future mamme, di pance tonde, di delicatezze e attenzioni, di
gridolini, di capriole, di rosa e azzurro, di cantilene. Ci si può dimenticare
di tutto, qui; si può per qualche minuto nuotare nel liquido amniotico delle
nostre proiezioni, nei giuramenti di fedeltà, nella devozione di chi percepisce
che l’amore genitoriale supera tutto, finanche la fede per la squadra del
cuore. Le mamme e le nonne sono efficienti, precise, determinate; i papà manco
si accorgono che i giuramenti che hanno appena pronunciato in forma di
soliloquio silenzioso, sono dovuti alla bolla ipnotica di strateghi svedesi.
La fame però incombe.
Dopo i mobili intelligenti, si
arriva alla mensa; pardon: al self service.
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