mercoledì 12 settembre 2012

Una fiammella galleggiante che va incontro alla sera

L'altra sera, come spesso mi accade d'estate- e come da qualche anno, in queste interminabili estati tropicali, anche a settembre-, sono andato in spiaggia. Dico sera, ma in realtà si tratta di tardo pomeriggio: il mio orario preferito: 17-17.30/19.30-20.
Amo queste ore per diverse ragioni, non ultima che la gente un po' alla volta se ne va, e io rimango, assieme a pochi altri, a godere il tramonto, la quiete, quel senso di intimità, che a volte si percepisce a contatto con gli elementi basici- la natura, l'ambiente?-.
La lettura di un libro- iniziato "l'amante di Lady Chatterley"-, una bottiglietta d'acqua, l'attesa che il costume s'asciughi dopo il bagno, l'osservazione distratta della gente, qualche pensiero, il riposo. Di solito ci vado da solo, mai che senta la solitudine: il senso di intimità di cui dicevo, lo si può vivere- questo, perlomeno, vale per me- solo nell'incontro tra silenzi; in un territorio non verbale, dove il mescolarsi degli elementi non ha scopo, fine, interesse.
Erano ormai le 19, il sole calava piano dietro la pineta, il mare iniziava ad assumere un colore argenteo, l'orizzonte si evidenziava con una linea retta, netta.
Accanto a me passavano una ragazza tedesca claudicante, espressione che rivela un deficit, cosce grosse, gambe rigide, costume intero blu, e una signora che, immagino, fosse la madre.
Si avvicinano alla diga circondata da scogli,; la signora si toglie la lunga maglia di cotone appoggiandola ordinatamente su un grosso masso, rimanendo in costume due pezzi. La figlia l'aspetta con la sua postura incerta, pochi passi dietro. Al collo la signora ha una borsetta, o forse un marsupio di colore nero. Si volta, raggiunge la figlia, la tiene per mano e insieme entrano in acqua fino a raggiungere l'altezza sopra il ginocchio.
La madre apre la borsetta, estrae un oggetto nero e un accendino; li passa alla figlia, la quale a fatica tenta di accendere la fiamma dell'accendino, e una volta riuscita, prova ad avvicinare la fiamma all'oggetto. Nel farlo si scompone, mettendo in forse il suo equilibrio posturale, come se, ad ogni mossa, corrispondesse un sussulto. La madre nel frattempo le si è spostata dietro, sorreggendola ai fianchi. La ragazza riesce nell'intento, s'abbassa legnosa fino a pelo d'acqua e appoggia quello che la mia scarsa vista da lontano, riconosce come una sorta di lumino galleggiante.
Vedendole, s'intuisce una metodicità, un'abitudine consolidata nel ripetere quei gesti.
La fiammella galleggia, s'allontana da loro. La madre e la figlia guardano il lento movimento di quella fiamma ed entrambe hanno assunto un'espressione estatica e triste insieme. La madre le parla piano, le indica l'orizzonte, ora più evidente, vista l'ora; oppure la sagoma di una barca a vela lontana, o il cielo che sta per colorarsi di rosso e di scuro.
Stanno lì dieci minuti.
Poi tornano verso gli scogli, la madre indossa la maglia, e se ne vanno.
Nel frattempo mi ero fermato ad osservarle, incantato, emozionato, fantasticando ragioni, attribuendo omaggi e ricordi a persone scomparse, salutate da una fiammella in mare.
Me ne vado anch'io, incontro alla sera.

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