sabato 7 luglio 2012

La semplice complessità della vita: sogno a nord est

Di notte mi giravo sul letto e sentivo parole che arrivavano chissà da dove. O almeno mi pare. Era come quando in un film c'è una voce solenne fuori campo. Se non ricordo male, parlava della vita e diceva così. Ci sono cose semplici che paiono complesse e complicate. L'ideologia, ad esempio, è semplice anche se pare di no. È una malattia che scarnifica, che mangia sonno, che porta con sé gastriti e coliti e altre schifezze somatiche. Si dice che da giovani si è tutti di sinistra, o quasi. Si anela alla giustizia, all'uguaglianza, alla libertà. Si studiano e si leggono certe teorie che fan girare la testa, che scaldano le vene, che obnubilano la mente. Poi si cresce, si lavora, si inizia con quella che, dicono, sia la vita vera, noiosa, piatta, senza più quelle spinte poderose a far girare la testa. Si fanno figli, gli si insegna il meglio che si può a parole, mentre la realtà ti mangia poco a poco la facoltà di essere soddisfatto, in pace, tranquillo. La fine delle illusioni, gli scazzi generazionali, le parole ripetute dai figli, tali e quali a quelle che si dicevano ai propri genitori, ma ribaltate; adesso siamo noi a venir accusati di essere conservatori, poco arditi, noiosi. E lo siamo perché crediamo davvero che la società così com'è fatta, non la si possa cambiare, ma al massimo, abituarsi a subirla. Niente è più fresco, fragrante, succoso. A parte certe giornate con gli amici, certe piccole soddisfazioni, tutto il resto è oppressione. Magari ci si attacca ad una squadra di calcio, ad una fede particolare, giusto per appartenere a qualcosa. Ci si sorbisce giorno dopo giorno l'andamento della borsa, giusto per essere informati su come questi ci fottono e monetizzano il nostro lavoro. Si guarda alla tivù e sulle riviste la vita di gente che sa a malapena firmare i contratti che li vedrà ricchi protagonisti di uno spettacolo insulso, ottuso; giusto per vivere per interposta persona le loro vite morte. Ci si augura che la sorte ci assista, e la malattia scelga qualcun altro invece che noi. Si finge di accontentarsi del niente che abbiamo e che siamo, tutto comprato faticosamente a rate, per sentirsi alla pari con gli altri. E se si arriva alla vecchiaia, si arriva col fiato corto, con la bile che ribolle, col conto in rosso o, come fosse una conquista, con due BOT da parte, da lasciare ai figli, per pagarsi il funerale e almeno un appartamento che così li aiutiamo a tirare avanti. Quando mi sono svegliato, ho pensato che ho davvero corso il pericolo di vivere così, e cioè di non vivere, facendo il bravo cittadino. Mi sono subito riappropriato di me, mi sono ricordato che non sono mai stato un bravo cittadino, pur essendo una brava persona. Che la vita mi prende sovente a calci in culo, ma mi regala anche sorprese e doni inattesi. Che vivo come uno che trasforma la vita in racconto e se ne frega di farlo in termini di vendite; che l'importante è quell'arbitrio, quel talento che trasforma la fatica, le gioie, il nulla, in azioni creative. Che mia figlia somiglia a me, che è educata ma non potrà mai essere ammaestrata. Ho tirato un sospiro di sollievo e mi son detto che valeva la pena scriverlo sul blog, che rimanga a memoria, che informi gli altri che si può. Che si può cosa? Che si può, e che anzi si dovrebbe, vivere la propria vita secondo la propria attitudine e la propria misura e tempo e modalità. E che se si guardasse meno gli altri in termini di confronto, e li si frequentasse con la consapevolezza che è bello starci insieme e mischiarsi, e scambiarsi quel che si è, possibilmente senza secondi fini, sarebbe tutto migliore, sano meno malato. Ebbene sì, la ricetta sarebbe abbastanza semplice e con poco si farebbe molto, anche se ovviamente non tutto. Quando mi sono svegliato, ho capito di aver sognato che scrivevo sul blog. Ho capito che avevo capito qualcosa, e che purtroppo l'avevo dimenticato. Ho capito che avevo sognato di sognare che sognavo. Mi sono guardato intorno, ed ero nel solito nord est.

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