lunedì 20 febbraio 2012

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È passato qualche giorno e mi piacerebbe dire qualcosa su Celentano a Sanremo, rischiando di dire banalità e di sfiorare il ridicolo. La prima cosa che mi viene in mente ripensando a sabato sera è l’innocenza: chi glielo fa fare ad un uomo ricco e famoso, che potrebbe campare sulla sua fama, che poteva dire due robette sul degrado della politica, dei costumi, ecc., giocando sulla retorica tanto amata dal popolino del festival, a parlare di Dio, di Gesù, dei preti?
Sgombrando il campo dalle finte ingenuità, dalle furbizie dei saputelli, da chi vede stratificazioni occulte anche nelle palesi e inequivocabili porcate che si perpetrano quotidianamente in questo paese devastato dalla pochezza; insomma, considerato che uno così poteva firmare un assegno e farsi scrivere un bel monologo acuto da gente alla Serra et simili, perché ha detto quello che ha detto? Io non ho risposte all’altezza della situazione, non ho certezze tali da zittire quei furbi cui sopra, ma ho a disposizione le mie sensazioni.
Le sensazioni sono quanto di più soggettivo ci sia, lo sanno tutti; ebbene, nel mio caso, mi hanno permesso di superare l’apparenza e di sentire, prima ancora di pensare, a quanto sto per scrivere, pur sapendo che rischio di esprimere una delle tante verità possibili, e forse impossibili.
Credo che quest’artista con un paio di mosse, di silenzi, di canzoni, avrebbe ottenuto la propria e l’altrui pace dei sensi. E invece, siccome ha sempre seguito il proprio istinto, ci si è affidato e ha ceduto alla tentazione di declamare il suo personale catechismo: per un uomo che ha molti più ricordi e rimpianti che futuro, contrariamente a quanto molti dei suoi coetanei fanno, e cioè conservare e far putrefare ricordi e verità indicibili, si lascia andare e parla del paradiso. Sentir parlare del paradiso in modo autentico mi commuove. Non ricordo altre persone che ne parlino in modo così scoperto, se non Giulio Mozzi, scrittore bravissimo e intelligente. Lo dico in qualità di non credente, che in quanto tale, si è sicuramente perso i molti discorsi sulla fede e sulle scritture e forse non ha voce in capitolo. Anche quel che riguarda il preoccuparsi di politica invece che di Dio, da parte della chiesa,  mi pare scaturito dallo stesso stupore: ma come, invece di parlare di eternità, di altezze smisurate, vi abbassate e vi mischiate con le cose terrene?
Concludo dicendo che non credo gli abbiano giovato queste critiche, che non ne avrà vantaggi, che non si è trattato di un calcolo, che mi è sembrato sincero. Che ciò che lo spinge sia il non sapersi adeguare ai tempi moderni, quando questi sono i tempi della finanza, della corruzione, della sopraffazione.
Ma sono solo le sensazioni di un non credente, di uno che crede ancora che ci siano persone autentiche e altre che non lo sono, che non è un fan di Celentano, che avrebbe fatto vincere i Marlene Kuntz o Finardi, che ha visto Sanremo solo un’ora in tutto e che potrebbe vivere benissimo senza.
Cristiano Prakash Dorigo

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