lunedì 27 febbraio 2012

logica del consumo e simpatie


L’Italia è in grande fermento e stanno cambiando molte cose.
Si sta tentando attraverso un governo rispettabile, nel nostro paese e all’estero, di modificare molte cattive abitudini, non ultima quella della corruzione, intesa anche come percezione del fenomeno: da tolleranza, o addirittura aspirazione, a condanna, demonizzazione. Fin qui, niente di male, anzi.
Mi impressiona però un fenomeno collaterale, una controindicazione: quella ad esempio della ministra che ha guadagnato in un anno sette milioni di euro, la quale dice che non si deve demonizzare la ricchezza, e che anzi si dovrebbe provare simpatia nei confronti di coloro che la producono, in quanto contribuiscono tra l’altro a rimpolpare le casse dello stato pagando molte tasse.
Dinnanzi a una simile boutade, pur essendo d’accordo sul principio che la ricchezza non è demoniaca, dissento totalmente dal fatto che dovrei provarne simpatia.
Se penso che ci sono molti ricchi, alcuni dei quali simpatici, non riesco a non pensare che la proporzione tra chi ha molto- il 10% degli italiani detiene il 50% della ricchezza nazionale- e chi ha poco, o addirittura meno di poco- il rimanente 90% della popolazione ne possiede l’altro 50%-, è decisamente brutale e sintomo di una società poco equa.
Prendendo ad esempio il signore che ha passato più di settanta giorni in una torretta della stazione centrale di Milano, all’aperto, a trenta metri d’altezza senza riscaldamento, per protestare contro il taglio del servizio ferroviario notturno delle linee nord-sud, penso che la simpatia umana, il calore, la solidarietà, vada rivolta più a lui che alla ricca ministra.
E questo, senza timore di sembrare classista, comunista, o altri “ista”: quell’uomo è sceso per sua figlia, per poterle stare accanto, pur sapendo di non poterle offrire altro che sé.
Una persona che da un giorno all’altro perde il lavoro, senza avere altre fonti di reddito, con un progetto di vita- che questo governo sa benissimo, significa avere dei conti da pagare-, merita lo sforzo di un pensiero più approfondito, non solo tecnico, su cosa significhi vivere, sopravvivere, benessere.
Nelle democrazie occidentali, uno dei diritti fondamentali è quello del consumo. La società è più o meno strutturata, semplificando, in questo modo: il centro di tutto è il denaro; il denaro consente di possedere, e più si possiede, più si è; per consentire a questo meccanismo di autoalimentarsi c’è bisogno di far girare i soldi: in tal senso la società dei consumi produce beni da consumare, i quali vengono consumati in modo maggiore o minore a seconda di quanto denaro si ha a disposizione; per allargare la produzione e la distribuzione, bisogna rendere accessibile ai più la possibilità di avere quote di denaro da spendere. In fase recessiva si hanno meno soldi da spendere, il ché causa una flessione dei consumi, e perciò della produzione e perciò della ricchezza generale.
Stando all’interno di questa logica, che finora ha retto e che ha prodotto mostruosità- che a spiegarle a un bambino di sei anni ti guarderebbe come fossi un idiota- tipo la finanza, tutto ha una sua linearità. Io lavoro per poter consumare, per costruire un futuro di consumo ai miei figli, contribuendo così, non tanto a farmi rubare il senso e il tempo e la salute, ma al benessere di tutti. La ministra perciò dovrebbe essermi molto più simpatica di uno che è stato al freddo e ha fatto i propri bisogni in sacchetti di plastica e non si è lavato per più di due mesi, perché lei ha contribuito al benessere di tutti e questo signore invece no?
Mi scuso con la ministra e con il signore che ho biecamente usati per un ragionamento forse fuori dal tempo e dalla logica, ma non ho più tempo, e forse nemmeno più logica.

Cristiano Prakash Dorigo   

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